lunedì 4 luglio 2011

III – Chiesa e omosessualità. La condanna dei Papi, dei concili, del Diritto Canonico e dai documenti ufficiali recenti

Dall’opera “Chiesa e omosessualità – Le ragioni di un’immutabile condanna” (Centro Culturale Lepanto, Roma, Supp. a “Lepanto” n. 138, gen. Feb. 1995):

Alla condanna dei Padri e dei Dottori della Chiesa, si aggiunse, fin dai primi secoli, quella, costante, dei concili, dei Papi e del Diritto Canonico.
Fin dal 305, il Concilio di Elvira in Spagna dispose, al canone 71, che agli “stupratori di ragazzi” venisse negata la santa comunione anche se in punto di morte (cfr. Canones Apostolorum et Conciliorum, pars altera, p. 11). Le pene canoniche di penitenza vennero poi stabilite nel 314 dal Concilio di Ancyra, al canone 16.
Il XVI Concilio di Toledo, tenutosi nel 693, al canone 3 condannò la pratica omosessuale come un vero e proprio crimine punibile con sanzioni giuridiche: il chierico veniva ridotto allo stato laicale e condannato all’esilio perpetuo, mentre il laico veniva scomunicato e, dopo aver subito la pena delle verghe, veniva anch’esso esiliato (Conciliorum oecumenicorum collectio, vol. XII, col. 71).
Successivamente nel Concilio di Naplusa, tenutosi in Terrasanta nel 1120, vennero stabilite minuziose pene per i colpevoli di crimini contro natura, dalle più miti fino al rogo previsto per i recidivi (cfr. Conciliorum oecumenicorum collectio, vol. XII, col. 264).
Più autorevole ancora fu il pronunciamento del Concilio Ecumenico Lateranense III, tenutosi nel 1179, il quale, al canone II, stabilì che “chiunche venga sorpreso a commettere quel peccato che è contro natura e a causa del quale ‘la colera di Dio piombò sui figli della disobbedienza (Ef. 5, 6), se è cherico, venga decaduto dal suo stato e venga rinchiuso in un monastero a far penitenza; se è laico, venga scomunicato e rigorosamente tenuto lontano dalla comunità del fedeli” (Conciliorum oecumenicorum collectio, vol. XXII, coll. 224 ss.).

San Pio V: “l’esecrabile vizio libidinoso contro natura”…

Se lo spirito dell’Umanesimo e del Rinascimento aveva risuscitato le pratiche omosessuali, la riforma della Chiesa promossa dal Papato nel secolo XVI (più nota come Controriforma) provocò una tale riscossa delle virtù di fede e di purezza da risanare quasi dovunque gli ambienti, sia ecclesiastici che laici, che ne erano stati pervasi.
Fra gli interventi del Magistero ecclesiastico al riguardo, il più solenne è quello di san Pio V (1504-1572), il grande Papa domenicano che in due Costituzioni condannò solennemente e proibì severamente il peccato contro natura.
“Avendo noi rivolto il nostro animo a rimuovere tutto quanto può offendere in qualche modo la divina maestà, abbiamo stabilito di punire innanzitutto e senza indugi quelle cose che, sia con l’autorità delle Sacre Scritture che con gravissimi esempi, risultano essere spiacenti a Dio più di ogni altro e che lo spingono all’ira: ossia la trascuratezza del culto divino, la rovinosa simonia, il crimine della bestemmia e l’esecrabile vizio libidinoso contro natura; colpe per le quali i popoli e le nazioni vengono flagellati da Dio, a giusta condanna, con sciagure, guerre, fame e pestilenze. (…)
Sappiano i magistrati che, se anche dopo questa nostra Costituzione saranno negligenti nel punire questi delitti, ne saranno colpevoli al cospetto del giudizio divino, e incorreranno anche nella nostra indignazione. (…)
Se qualcuno compirà quel nefando crimine contro natura, per colpa del quale l’ira divina piombò su figli dell’iniquità, verrà consegnato per punizione al braccio secolare, e se chierico, verrà sottoposto ad analoga pena dopo essere stato privato di ogni grado” (San Pio V, Costituzione Cum primum, del 1° aprile 1566, in Bullarium Romanum, t. IV, c. II, pp. 284-286).

…”reprimere tale crimine col massimo zelo possibile”

“Quell’orrendo crimine, per colpa del quale le città corrotte e oscene (di Sodoma e Gomorra, n.d.r.) vennero bruciate dalla divina condanna, marchia di acerbissimo dolore e scuote fortemente il nostro animo, spingendoci a reprimere tale crimine col massimo zelo possibile.
A buon diritto il Concilio Lateranense V (1512-1517) stabilisce per decreto che qualunque membro del clero, che sia stato sorpreso in quel vizio contro natura per via del quale l’ira divina cadde sui figli dell’empietà, venga allontanato dall’ordine clericale, oppure venga costretto a far penitenza in un monastero (c. 4, X, V, 31).
Affinché il contagio di un così grave flagello non progredisca con maggior audacia approfittandosi di quell’impunità che è il massimo incitamento al peccato, e per castigare più severamente i chierici colpevoli di questo nefasto crimine che non sono atterriti dalla morte dell’anima, abbiamo deciso che vengano atterriti dall’autorità secolare, vindice della legge civile.
Pertanto, volendo proseguire con maggior vigore quanto abbiamo decretato fin dal principio del Nostro Pontificato (Costituzione Cum primum, cit.), stabiliamo che qualunque sacerdote o membro del clero sia secolare che regolare, di qualunque grado e dignità, che pratichi un così orribile crimine, in forza della presente legge venga privato di ogni privilegio clericale, di ogni incarico, dignità e beneficio ecclesiastico, e poi, una volta degradato dal Giudice ecclesiastico, venga subito consegnato all’autorità secolare, affinché lo destini a quel supplizio, previsto dalla legge come opportuna punizione, che colpisce i laici scivolati in questo abisso” (San Pio V, Costituzione Horrendum illud scelus, del 30 agosto 1568, in Bullarium Romanum, t. IV, c. III, p. 33).


San Pio X: il peccato contro natura grida vendetta al cospetto di Dio

Durante l’Ottocento, la sensibilità esasperatamente sentimentale ed erotica, diffusa prima dal Romanticismo e poi più gravemente dal decadentismo, contribuì ad un certo risorgere dell’omosessualità, che però sembrava tenuto a freno da una convenzionale “morale laica” e si diffondeva nascondendosi ipocritamente sotto il velo dell’arte e della moda sensuali.
Con l’inizio del nostro secolo, gli argini di questa “morale”, ben presto destinati a crollare, cominciarono a cedere sotto il crescente impatto delle passioni sregolate, che influenzavano sempre più le classi colte e ricche e cominciavano a pretendere una legittimazione pubblica.
La Chiesa pertanto ritenne necessario ribadire la condanna dei peccati risorgenti, compreso quello omosessuale.
Segnaliamo al riguardo due fondamentali documenti promossi dal grande Pontefice san Pio X.
Nel suo Catechismo del 1910, infatti, il “peccato impuro contro natura” è classificato per gravità come secondo, dopo l’omicidio volontario, fra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio” (Catechismo maggiore, n. 966).
“Questi peccati – spiega il Catechismo – si dicono gridare al cospetto di Dio, perché lo dice lo Spirito Santo e perché la loro iniquità è così grave e manifesta che provoca Dio a punire con più severi castighi” (n. 967).

Il diritto canonico prevedeva la pena dell’”infamia”

Nel Codice di Diritto Canonico, promosso da san Pio X ma pubblicato da Benedetto XV nel 1917, e rimasto in vigore fino al 1983, la sodomia è trattata tra i “delitti contro il sesto comandamento” accanto all’incesto e ad altri delitti tra i quali la bestialità (R. Naz, Traité de Droit Canonique, t. IV, lib. V, p. 761).
Il reato di sodomia è punito quanto ai laici con la pena dell’infamia “ipso facto” e con altre sanzioni da infliggersi a prudente giudizio del vescovo in relazione alla gravità dei singoli casi (can. 2357); e quanto agli ecclesiastici e ai religiosi, se si tratti di clerici minores (cioè di grado inferiore al diacono) con pene diverse, commisurate alla gravità della colpa, che possono arrivare fino alla dimissione dallo stato clericale (can. 2358), e se si tratti di clerici maiores (cioè di diaconi, sacerdoti o vescovi) con lo stabilire che “vengano sospesi, dichiarandoli infami, da ogni ufficio, beneficio, dignità, vengano privati dell’eventuale stipendio e, nei casi più gravi, vengono deposti” (can. 2359, § 2; cfr. R. Naz in Dictionnaire de Droit Canonique, t. VII, coll. 1064-1065).
Ricordiamo che la citata “pena dell’infamia” era molto grave, in quanto consisteva nella “perdita totale o parziale della buona reputazione presso la gente onesta” e comportava il divieto di esercitare incarichi ecclesiastici e di svolgere funzioni di fiducia quali il padrinato o l’arbitrato (Dictionnaire de droit canonique, t. V, coll. 1358-1359).

La Congregazione per la Dottrina della fede: “Gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati”

Nell’ultimo dopoguerra, il clima edonistico e permissivo della cosiddetta “società dei consumi” ha contribuito ad aggravare il problema dell’omosessualità. Più tardi, la rivolta generazionale e libertaria del cosiddetto Sessantotto ha proclamato il diritto delle passioni sregolate ad impadronirsi della società senza subire alcun freno o repressione.
Negli ultimi anni, mentre l’omosessualità veniva propagandata da esponenti del mondo della cultura, dell’arte, della moda e dello spettacolo, il Magistero della Chiesa ha però rinnovato la condanna del peccato contro natura.
La Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato due documenti – la Dichiarazione Persona humana del 29 dicembre 1975 e la Lettera pastorale del 1° ottobre 1986 – nei quali ha ribadito che è impossibile legittimare in qualsiasi modo una forma di relazione che è totalmente in contrasto col disegno divino e quindi anche con la dignità umana.
“Secondo l’ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile.
“Nella Sacra Scrittura, esse sono condannate come gravi depravazioni ed anzi vengono presentate come funesta conseguenza del rifiuto di Dio. Questo giudizio della Scrittura (…) attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che non possono in nessun caso ricevere una qualche approvazione” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Persona humana, n. 8).


Condannando le dottrine omosessuali “la Chiesa non limita ma anzi difende la libertà e la dignità della persona”

“Occorre precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in se peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale.
“Pertanto, l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata. Di conseguenza, coloro che si trovano in questa condizione dovrebbero essere oggetto di una particolare sollecitudine pastorale perché non siano portati a credere che l’attuazione di tale tendenza nelle relazioni omosessuali sia una scelta moralmente accettabile”.
“San Paolo (…) presenta il comportamento omosessuale come un esempio della cecità nella quale è caduta l’umanità. Sostituendosi all’originaria armonia fra il Creatore e le creature, la grave deviazione dell’idolatria (del piacere, in tal caso, n.d.r.) ha condotto ad ogni sorta di eccessi nel campo morale. San Paolo trova l’esempio più chiaro di questo disordine proprio nelle relazioni omosessuali (Rom., 1, 18-32). Infine, nell’elenco di coloro che agiscono contrariamente alla sana dottrina, vengono esplicitamente menzionati come peccatori coloro che compiono atti omosessuali (1 Tim., 1, 10). (…)
“È solo nella relazione coniugale che l’uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in modo omosessuale agisce immoralmente. (…)
“L’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità, perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Nel respingere le erronee dottrine riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma anzi difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo reale ed autentico” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, nn. 3, 6-7).


Il nuovo Catechismo di S.S. Giovanni Paolo II ribadisce la condanna

La condanna dell’unioni omosessuali è stata ribadita più recentemente nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato nel 1992 da S.S. Giovanni Paolo II:
“Basandosi sulla sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono infatti contrari alla legge naturale, precludono all’atto sessuale il dono della vita, e non sono frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. Non possono essere approvati in nessun caso” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357).
(…)

La legalizzazione dell’omosessualità condannata dai documenti ufficiali recenti

La promozione pubblica dell’omosessualità costituisce secondo la morale cattolica una colpa molto più grave della sua pratica privata.
Essa rappresenta infatti l’approvazione ufficiale, da parte della autorità civile, di un peccato che dovrebbe essere invece pubblicamente condannato in nome del bene comune. Se nel passato gli ambienti omosessuali si limitavano a praticare il loro vizio, senza aspirare ad una giustificazione morale o ad una pubblica legalizzazione, è proprio questo che oggi essi pretendono di ottenere dai governi e persino dalla Chiesa. Fattisi forti della tolleranza ottenuta nel corso del nostro secolo, tolleranza che ne ha aumentato il numero e l’influenza anche politica, oggi i circoli omosessuali organizzati pretendono di conquistare una posizione giuridica che consentirebbe loro di imporre all’opinione pubblica l’accoppiamento contro natura come una “scelta di vita” che deve godere di dignità, propaganda e favori pari a quelli finora tributati alla sola unione secondo natura. Il Magistero della Chiesa, nel condannare espressamente e ripetutamente la pratica omosessuale, a maggior ragione respinge con sdegno la proposta di legalizzare in qualsiasi forma le unioni contro natura.

La condanna espressa dalla Congregazione per la Dottrina della Fede

La Congregazione per la Dottrina della Fede ribadisce che il vizio non può reclamare alcun riconoscimento, perché ciò che è male agli occhi di Dio non può venire ammesso socialmente come giusto.
“È pertanto in atto in alcune nazioni un vero e proprio tentativo di manipolare la Chiesa conquistandosi il sostegno, spesso in buona fede, dei suoi Pastori, in uno sforzo tendente a cambiare le norme della legislazione civile. Tale azione mira a conformare questa legislazione alla concezione propria di questi gruppi di pressione, secondo cui l’omosessualità è almeno una realtà perfettamente innocua, se non totalmente buona. Benché la pratica dell’omosessualità stia minacciando seriamente la vita e il benessere di un gran numero di persone, i fautori di questa tendenza non desistono dalla loro azione e rifiutano di prendere di prendere in considerazione le proporzioni del rischio che vi è implicato. La Chiesa non può non preoccuparsi di tutto questo e pertanto mantiene ferma la sua chiara posizione al riguardo, che non può essere modificata sotto la pressione della legislazione civile o della moda del momento. (…) La Chiesa è consapevole che l’opinione, secondo cui l’attività omosessuale sarebbe paragonabile, o almeno altrettanto accettabile, all’espressione sessuale dell’amore coniugale, ha un’incidenza diretta sulla concezione che la società ha della natura e dei diritti della famiglia, e li mette seriamente in pericolo. (…) La doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo a ritenere che la condizione omosessuale non sia disordinata. Se poi tale valutazione viene accolta, e di conseguenza l’attività omosessuale viene accettata come buona, oppure se viene introdotta una legislazione civile che protegga un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, allora né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche perverse guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, nn. 9-10).

“Non esiste alcun diritto all’omosessualità”

“La tendenza sessuale non costituisce una qualità paragonabile alla razza, all’origine etnica, etc., rispetto alla non-discriminazione. Diversamente da queste, la tendenza omosessuale è un disordine oggettivo e richiama una preoccupazione morale. Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale; per esempio, nella collocazione di bambini in adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori sportivi, nel servizio militare. Gli omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone. (…) Nondimeno, questi diritti non sono assoluti. Essi possono venire legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno oggettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma anche obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole, ma anche nel caso di azioni commesse da persone fisicamente o psicologicamente malate. (…) Includere la tendenza omosessuale fra le considerazioni in base alle quali ogni discriminazione è illegale, può facilmente condurre a valutare l’omosessualità come fonte positiva di diritti umani. (…) Ciò è tanto più deleterio, dal momento che non esiste alcun diritto all’omosessualità, la quale pertanto non può costituire la base per rivendicazioni giudiziali. Il passaggio dal riconoscimento dell’omosessualità come fattore in base al quale è illegale discriminare può portare facilmente, se non automaticamente, alla protezione legislativa ed alla promozione legale dell’omosessualità. (…) Inoltre, c’è il pericolo che una legislazione che trasformi l’omosessualità in una fonte di diritti possa di fatto incoraggiare le persone con tendenze omosessuali a dichiarare la loro omosessualità o addirittura a cercare dei partners allo scopo di sfruttare le disposizioni di legge” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, Appendice del 1993, nn. 10-14).

La Chiesa non può appoggiare i fautori dell’omosessualità

“Dovrà essere ritirato ogni appoggio a qualunque organizzazione che cerchi di sovvertire l’insegnamento della Chiesa, che sia ambigua nei confronti di esso, o che lo trascuri completamente. Un tale appoggio, o anche l’apparenza di esso, può dare origine a gravi fraintendimenti” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali, n. 17).

La Conferenza Episcopale Spagnola: il rifiuto di legalizzare la “famiglia omosessuale” non è un’ingiusta discriminazione

Contestando la risoluzione del Parlamento Europeo, in una nota intitolata Matrimonio, famiglia e unioni omosessuali, pubblicata il 24 giugno 1994, la Conferenza Episcopale Spagnola ha così precisato:
“Non si può chiedere alla società di riconoscere la condizione o il comportamento omosessuali come una modalità dell’essere umano paragonabile, per esempio, alle differenze naturali di razza o di sesso. Denunciamo come ingannevole il tentativo di far credere all’opinione pubblica che determinate restrizioni legale, come la proibizione di contrarre matrimonio o di adottare bambini, rappresentino discriminazioni ingiuste nei confronti degli omosessuali. Tali proibizioni sarebbero ingiuste se venissero applicate a motivo della razza, dell’origine etnica, del sesso, etc., ma non lo sono in questo caso. Gli omosessuali, in quanto persone umane, hanno gli stessi diritti di tutte le altre persone. Questi diritti però appartengono loro in quanto persone e non in virtù della loro tendenze sessuale” (Conferenza Episcopale Spagnola, Matrimonio, famiglia e unioni omosessuali, n. 5).

Legittimare il “matrimonio omosessuale” è contro il bene comune

“È chiaro che, quando le leggi non legittimano il comportamento omosessuale, non lo fanno per trattare qualcuno ingiustamente ma per soddisfare la norma morale e per tutelare il bene comune della società. All’opposto, le leggi che lo legittimassero mancherebbero di qualunque fondamento etico e produrrebbero un effetto pedagogico negativo tendente a minare il bene comune. (…) Qualunque equiparazione giuridica di dette unioni al matrimonio conferirebbe loro un valore di istituzione sociale che non corrisponde in alcun modo alla loro realtà antropologica. I coniugi, generando ed educando figli, contribuiscono in modo insostituibile alla crescita e alla stabilità della società; per questo meritano il riconoscimento e il sostegno legale dello Stato. Per contro, non si può riconoscere una dimensione sociale analoga a quella del matrimonio e della famiglia alla convivenza di omosessuali, che non può mai avere tali caratteristiche. (…) Il bene comune esige che le leggi riconoscano, promuovano e tutelino l’unione matrimoniale, essenzialmente eterosessuale, come fondamento imprescindibile della famiglia. Per questo non è accettabile la legislazione che equipara in qualche modo al matrimonio le cosiddette unioni omosessuali. Le leggi non sono tenute a sanzionare lo stato di fatto convertendo il fatto in diritto.
“È vero che le norme civile non sempre potranno includere integralmente la legge morale, poiché la legge civile dovrà talvolta tollerare, in certi settori dell’ordine pubblico, quello che non può proibire senza provocare danni più gravi. Tuttavia, questa tolleranza non potrà estendersi ai comportamenti che attentano ai diritti fondamentali delle persone, compresi i diritti alla famiglia e al matrimonio come istituzioni. In questi casi il legislatore, lungi dal piegarsi ai fatti sociali, deve ‘provvedere affinché la legge civile venga regolata dalle norme fondamentali della legge morale’ (Congregazione per la dottrina della Fede, Istruzione Donum vitae, n. 3). Se non lo farà, egli si renderà responsabile dei gravi effetti negativi prodotti nella società dalla legittimazione di un male morale, come il comportamento omosessuale istituzionalizzato” (Conferenza Episcopale Spagnola, Matrimonio, famiglia e unioni omosessuali, nn. 8, 13 e 19).

Permettere l’adozione agli omosessuali: ingiustizia verso i bambini

Che la parificazione dell’unione omosessuale al matrimonio sia assurda, viene manifestato ad esempio dalle inevitabili conseguenze che produrrebbe nel campo dell’adozione dei bambini, che a questo punto verrebbe inevitabilmente rivendicata come diritto dagli omosessuali.
“Non è quindi possibile qualificare come discriminante il fatto che le leggi proibiscano l’adozione agli omosessuali. Bisogna piuttosto pensare che sarebbe proprio il bambino, eventualmente adottato in simili circostanze, ad essere trattato ingiustamente. Ciò a maggior ragione, se consideriamo che in questo momento sono molti i coniugi idonei disposti ad adottare e che, per un motivo o per l’altro, non riescono a realizzare questo loro desiderio. I bambini, che sfortunatamente siano stati privati di una famiglia propria, non devono essere sottoposti ad una nuova prova. Essi hanno il diritto di crescere in un ambiente che si avvicini il più possibile a quello della famiglia naturale che non hanno”. (Conferenza Episcopale Spagnola, Matrimonio, famiglia e unioni omosessuali, n. 14).

S.S. Giovanni Paolo II: il parlamento europeo chiede “di legittimare un disordine morale”

Nel suo discorso del 20 gennaio 1994, pronunciato pochi giorni dopo la risoluzione pro-omosessualità del Parlamento Europeo, S.S. Giovanni Paolo II ha ribadito che è illecito voler legalizzare l’unione omosessuale.
“Il pensiero va qui alla recente e ben nota risoluzione approvata dal Parlamento europeo. (…) Ciò che non è moralmente ammissibile è l’approvazione giuridica della pratica omosessuale. Essere comprensivi verso chi pecca, verso chi non è in grado di liberarsi da questa tendenza, non equivale infatti a sminuire le esigenze della norma morale. (...)
”Con la risoluzione del Parlamento Europeo, si è chiesto di legittimare un disordine morale. Il parlamento ha conferito indebitamente un valore istituzionale a comportamenti devianti, non conformi al piano di Dio. (…) Dimenticando la parola di Cristo – ‘la Verità vi farà liberi’ (Gv. 8, 32) – si è cercato di indicare agli abitanti del nostro continente il male morale, la deviazione, una certa schiavitù, come via di liberazione, falsificando l’essenza stessa della famiglia” (S.S. Giovanni Paolo II, Angelus del 20 febbraio 1994, in “L’Osservatore Romano” del 22 febbraio 1994).


(op. cit., pp. 5-18, 23-27)

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